Intervista al coautore del libro sulla strage di Bologna: 36 anni dopo con i documenti e i segreti ancora tutti da scoprire.
Scaduto l’alibi della ragion di Stato (e di partito), in fila indiana gli ultimi fatti scottanti partendo dal misterioso colpo di scena svelato: rileggendo i profili immunologici e le perizie eseguite nell’obitorio di Istituto di Medicina Legale di Bologna, le vittime della strage del 2 agosto 1980 sarebbero 86 e non 85, cioè una in più di quelle accertate nella consolidata verità giudiziaria. E poi: sulla scena dell’atto terroristico più cruento della storia italiana, spuntarono passaporto, borsa e documenti personali di un docente sardo militante nei gruppi dell’estrema sinistra della Barbagia.
Ancora: la mattina dell’attacco, nel capoluogo emiliano c’era il terrorista tedesco Thomas Kram, esperto di esplosivi e militante delle Cellule Rivoluzionarie affiliate al sanguinario gruppo del venezuelano Ilich Ramìrez Sànchez (“Carlos lo Sciacallo”, detenuto in Francia ha rivelato la conta di un migliaio di vittime inanellate in carriera). Infine, in ottica di violazione del cosiddetto “Lodo Moro”, tre settimane prima del botto alla stazione il Capo della Polizia aveva lanciato un allarme sicurezza in Questura preannunciando una ritorsione tramata dal Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina legata ad ambienti dell’eversione rossa: l’inquietante operazione era attesa anche dai servizi segreti del SISMI.
Asciutto nell’essenzialità di uno stile narrativo tecnico e deideologizzato, forte di un robusto (e dettagliato) impianto storiografico, il libro I segreti di Bologna (Edizioni Chiarelettere) traccia un’inedita e riscontrata linea interpretativa sul punto più alto della stagione stragista italiana, catapultando il lettore in una matrice di dimensione internazionale che lega Bologna a sotterranei depistaggi e geopolitica, estremismi mediorientali e nostrani, esaminate le carte delle commissioni parlamentari Moro, P2, Stragi, Mitrokhin, gli atti processuali di varie procure, documenti “riservatissimi” ed archivi desecretati dell’Est comunista.
Insomma, si può riscrivere la Storia? Gli autori del testo (274 pagine con copie anastatiche di minute mai rese pubbliche) sono il noto magistrato (in pensione) Rosario Priore (caduto il muro di Berlino, fu il primo a varcare gli uffici della STASI: sua la titolarità nelle inchieste Ustica e lavorò pure su Moro e attentato contro Giovanni Paolo II) e l’avvocato romano Valerio Cutonilli (impegnato nella ricerca di verità scomode sugli Anni di piombo, diede alle stampe un saggio di rilettura investigativa sull’inquietante eccidio nella sede del MSI di Acca Larentia, 1978). Con quest’ultimo parliamo del volume appena uscito che, oltre le attenzioni della critica, sta facendo discutere anche in Parlamento.
Valerio Cutonilli, il quadro complessivo che emergere dalle vostre pagine è raccapricciante: nel biennio 1978-1980, cioè dal rapimento e uccisione di Aldo Moro passando per Ustica fino alla strage di Bologna, siamo stati in guerra e non lo sapevamo?
«Sì, ma lo scenario bellico riguardò tutta l’area del Mediterraneo e questa guerra non dichiarata spianò la strada ad una sorta di diplomazia parallela, spesso osteggiata dalle stesse ambasciate, voluta dal potere esecutivo a inizio degli anni Settanta e rimasta oscura agli occhi dell’opinione. Ci trovavamo in un periodo in cui le politiche di condizionamento ridisegnarono gli equilibri geopolitici e le alleanze nello scacchiere internazionale. Era il 1979: fu l’anno più delicato e difficile di questa guerra occulta. Con la nascita del primo governo Cossiga ebbe termine la “solidarietà nazionale”. Cossiga diede vita al nuovo corso atlantista dell’Italia che nel febbraio 1980, con la votazione del famoso “preambolo” al congresso democristiano, portò alla definitiva esclusione del Pci non solo dal governo ma anche dalla maggioranza».
Che vuol dire? Mi faccia capire meglio…
«Nel 1979 sul Vecchio Continente cessò quella sorta di immobilismo americano successivo alla disfatta in Vietnam. Per anni l’URSS aveva esercitato una forte pressione sull’Europa occidentale, dispiegando missili di medio raggio a testata nucleare, dei gioielli balistici chiamati dalla NATO SS-20 che potevano colpire gli europei ma non gli Usa. Con gli S220 era stata introdotta una pericolosa asimmetria nella Guerra fredda. Il governo di solidarietà nazionale Andreotti aveva fatto finta di non vedere il rischio, mentre fu il cancelliere tedesco Schmitd a insorgere. Nel 1978 al vertice di Guadalupa l’Italia non fu invitata dagli USA per la diffidenza nutrita verso il nostro Paese. Col PCI nella maggioranza, per gli statunitensi eravamo diventati inaffidabili. Il presidente Carter propose agli alleati europei la dotazione di missili nucleari a medio raggio, i Cruise e i Pershing. Nel 1979, terminata la solidarietà nazionale e varato a sorpresa il governo dell’atlantista Cossiga, il Parlamento italiano deliberò l’installazione degli euromissili nel nostro territorio. Quest’operazione determinò un’inversione a ‘U’ della nostra politica estera. Che ovviamente suscitò reazioni ad Est».
Per quali ragioni?
«L’Italia a sorpresa aveva intralciato i progetti sovietici. La NATO aveva capito che i maggiori pericoli per la sicurezza non provenivano tanto da Oriente quanto da Sud. Piuttosto che il corridoio nordista in Veneto, come era stato difeso in passato, stavolta vennero potenziate le basi americane in Sicilia: i Cruise a Comiso sono del 1981, ma già dal 1979 era stata decisa l’ubicazione. Furono potenziate le infrastrutture militari negli aeroporti siciliani di Birgi e Pantelleria. L’Italia recuperò il suo vecchio ruolo geostrategico nell’Alleanza atlantica ma si trovò tra l’incudine e il martello. L’impegno che ci veniva richiesto metteva a rischio le intense relazioni economiche coltivate negli anni precedenti nell’area mediterranea. La situazione si complicò ulteriormente quando la Libia, primo partner commerciale del nostro paese, cominciò ad avvicinarsi pericolosamente all’Urss. Non a caso, all’insaputa dello stesso Parlamento, il 2 agosto 1980 – ovvero proprio il giorno della strage di Bologna – venne siglato un accordo di protezione militare tra Italia e Malta che aveva l’obiettivo di allontanare i libici ma soprattutto i loro nuovi amici sovietici dall’isola. E in ballo c’era pure lo sfruttamento di giacimenti di petrolio nei pressi dell’isola…».
Nel libro raccontate anche di una «guerra surrogata» condotta dall’URSS attraverso lo spionaggio e il terrorismo arabo. Chiamate in causa il cosiddetto “Lodo Moro”: ufficialmente mai esistito ma effettivamente stipulato dal nostro governo e poi violato dopo l’omicidio del presidente Dc.
«Esatto: il Lodo trovò applicazione dal 1974 al 1979. Il patto fu confermato da diversi funzionari dei servizi segreti e non solo dinanzi alla magistratura di Venezia, che indagava sul traffico di armi tra l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e le Brigate Rosse: si garantiva ai fedayyìn in lotta contro Israele il traffico di armi ed esplosivi sul nostro territorio in cambio della rinuncia a compiere attentati in Italia. Il Lodo Moro fu un’intesa silenziosa garantita dallo stesso Presidente della Dc per mezzo del suo fidato entourage di sicurezza. Ma dopo la tragedia di via Caetani qualcosa si ruppe. E qui s’inserisce la vicenda di Ortona».
Ovvero?
«Nella notte tra il 7 e l’8 novembre 1979, vicino Chieti caddero in arresto tre esponenti della sinistra extraparlamentare di Autonomia Operaia: Luciano Nieri, Daniele Pifano e Giorgio Baumgartner trasportavano due missili terra-aria Strela, i Sam-7 di fabbricazione sovietica. Missili capaci di raggiungere un aeroplano in volo a ben duemila metri di altezza. Già nel 1973 due Strela erano stati scoperti ad Ostia, sul litorale romano, nell’abitazione di arabi in procinto di compiere un attentato all’aeroporto di Fiumicino. E per i missili sequestrati ad Ortona, oltre ai compagni di via dei Volsci, finì in carcere anche un esponente palestinese: Abu Anzeh Saleh, militante del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, l’ala oltranzista e filosovietica dell’Olp. Saleh era in stretti rapporti col colonnello Stefano Giovannone, capocentro del SISMI di stanza a Beirut, già responsabile della sicurezza personale di Aldo Moro e sua ultima speranza in quella trattativa sfumata per ragioni tuttora ignote durante la prigionia delle BR. La detenzione e la condanna di Saleh, inflitta dai giudici nonostante le richieste di clemenza formulate dai servizi segreti, esposero l’Italia a un’azione ritorsiva».
Nel libro marcate una distinzione netta tra verità storica e verità giuridica, considerato che per la strage di Bologna sono stati condannati come esecutori materiali con sentenza passata in giudicato tre neofascisti dei Nuclei Armati Rivoluzionari (Fioravanti, Mambro e Ciavardini): che vuol dire? Quante verità ci sono? Una uscita dall’aula di tribunale e un’altra più realistica come quella che spiegate? A me, però, sembra un tecnicismo sminuente, paradossale, non le pare?
«No, tutt’altro! Pur non condividendo gli assai discutibili esiti giudiziari, rispettiamo il verdetto dei magistrati petroniani. Oggi che le pene sono state interamente scontate dalle persone condannate si può ragionare con maggiore serenità. Consideri che la stragrande maggioranza degli osservatori del processo, anche di sinistra, ritiene innocenti i tre ex militanti dei NAR. La ricostruzione giudiziaria, del resto, è priva di un movente e resta appesa nel vuoto. Ovvio quindi che oggi lasci molto perplessi storici e ricercatori, ormai propensi a inseguire una verità storica di segno diverso. Lo scenario di crisi che caratterizzò l’Italia durante l’estate 1980, che con il passare degli anni diventa sempre più chiaro, offre finalmente una chiave di lettura della strage di Bologna. E anche delle stragi immediatamente successive di Monaco e Parigi. La distanza dai fatti aiuta a riflettere. Pensi, però, cosa sarebbe accaduto se l’opinione pubblica dell’epoca avesse appreso che l’Italia era coinvolta nel conflitto Est-Ovest divampato proprio nello scacchiere mediterraneo. Sotto questo profilo, non sorprende che le indagini vennero indirizzate sulla solita pista nera, quella politicamente più indolore. Ma com’è possibile, dobbiamo chiederci oggi, che, proprio quando i fatti sembravano convalidare i timori di un imminente attentato ritorsivo dell’Fplp, le nostre istituzioni perdano improvvisamente la memoria di tutte le informative diffuse nei mesi precedenti?».
Sì, ma allora, cosa ritenete sia successo in quel tragico 2 agosto 1980?
«A mio avviso il contesto in cui maturò la strage di Bologna è ormai chiaro. Ma i veri segreti si celano dietro le questioni tecniche. La dinamica dell’esplosione è meno chiara di quanto si continua a ripetere da anni».
Cutonilli, un’ultima domanda, sull’aspetto verosimilmente più macabro che svelate nel vostre discusse pagine, per cui l’on. Paolo Bolognesi (PD, ma anche Presidente dell’Associazione tra i Familiari delle Vittime) ha ipotizzato l’applicazione del nuovo reato di depistaggio. Mi riferisco all’enigma misterioso del cadavere scomparso, per il quale è stata inoltrata anche un’interrogazione parlamentare dal sen. Di Biagio.
«Si chiamava Maria Fresu, 24enne, era la mamma della piccola Angela Fresu, appena 3 anni, la più piccola vittima della strage di Bologna. Tra le macerie non si è mai trovato il corpo di questa giovane madre sarda. E la cosa, credendo che si fosse disintegrato nell’esplosione della bomba, è stata fatta passare come una sorta di effetto collaterale straordinario fino ad oggi. Ma invece….».
Capisco, vedremo a settembre come risponderà il governo Renzi all’interrogazione presentata in questi giorni dal sen. Di Biagio proprio sul mistero cadavere scomparso. Ma un’ultima risposta, però, la deve all’attacco dell’on. Bolognesi, che vorrebbe incriminarla per depistaggio…
«Legga il nostro libro. La lettura arricchisce!».